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La fonte perduta (dell’informazione)

So di essere vagamente rétro ma scrivere sui social post, anche lunghi, ripresi o copiati da fonti d’informazione senza citarle e inserire il link mi sembra molto scorretto.

Lo fanno professionisti (e non) di ogni genere, anche con cariche, qualifiche ruoli importanti/altisonanti. Non sfuggono a questa pratica figure operanti nel settore della comunicazione e del giornalismo.

Molti non leggono più (se mai lo hanno fatto) testi strutturati e non frammentati, giornali, libri, siti, magazine, blog e fonti informative autorevoli (sì, esiste ancora l’autorevolezza) dentro e fuori dal web, in italiano e in inglese. Di conseguenza, non sanno quale sia l’origine della notizia o dell’informazione che leggono sul post e non ne sanno riconoscere la natura di notizia o informazione riportata.

Alcuni, invece, non si pongono il problema “etico”: gli interessa l’informazione. Originale o copia “nascosta”, con o senza link, basta che lo interessi o lo colpisca.

I post di questo tipo possono avere anche molto riscontro, tra “consiglia” e commenti. L’autore ne trae un vantaggio in termini di “popolarità” maggiore rispetto a quello che avrebbe se avesse citato la font, perché identificato dai più come unico autore del contenuto visto come originale, nel doppio senso di “primo” e “innovativo”.

Questo per le dinamiche che avvengono nelle community, anche quelle teoricamente un po’ più attente ai contenuti nel loro insieme come LinkedIn.

Se oltre a indicare il link alla fonte, non copia, usa il “virgolettato”, se fa una sintesi o sottolinea un passaggio del contenuto originale l’autore del post ha tutta la mia attenzione e il mio rispetto, nonché l’indicazione che si tratta di una persona attenta, etica e forse persino interessata a condividere la cultura dell’informazione.

Ma io non sono community.


Immagine: Greg Peterson, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons