Riflessioni

La verità, vi prego, sui cambiamenti climatici: la Terra è resiliente ma l’umanità?

C’è un cambiamento climatico? Sì.

È causato dall’uomo? Sì.

Mette a rischio il pianeta? No.

Mette a rischio la specie umana? No.

Mette a rischio l’attuale civiltà umana? Sì.

Ho incominciato a interessarmi di scienza all’età di 13 anni. Ricordo che all’inizio leggevo libri di astronomia e una rivista che si chiamava “Scienza 80”. Poi mi sono appassionato anche di paleontologia, fisica, neuroscienze e altri argomenti.

Negli anni ’80 il primo problema “globale” di cui sono venuto a conoscenza è stato il buco dell’ozono nell’atmosfera, sulle regioni polari e in particolare sul Polo Sud. Ho seguito tutte le varie fasi della “presa di coscienza del problema: i primi articoli di scienziati e addetti ai lavori, il passaggio all’informazione “mainstream”, i dibattiti, le controversie, le decisioni internazionali prese per combattere il fenomeno. Nel 1987 con il protocollo di Montréal quasi tutti i paesi del mondo si impegnarono a bandire i CFC (cluorofluorocarburi), ritenuti i maggiori responsabili dell’assottigliamento dello strato di ozono. Nel 2015 una ricerca ha annunciato che dal 2000 il buco dell’ozono si sta riducendo, seppur in maniera altalenante, grazie all’accordo e alla sua applicazione. Nel 2050 dovrebbe richiudersi del tutto.

Durante gli anni ’80 comincio anche a sentire parlare della questione ambientale e del riscaldamento climatico (originariamente si usava il termine “riscaldamento”, che seppur corretto sul lungo periodo poteva essere soggetto a fraintendimenti; oggi si preferisce usare la formula “cambiamento climatico”). Assisto per anni al dibattito tra gli scienziati sulle sue cause: è di origine antropica o deriva da mutamenti ciclici del clima del nostro pianeta? All’inizio propendevo per questa ipotesi, conoscendo le grandi e piccole variazioni della temperatura susseguitesi nel corso degli eoni. Ma sottostimavo l’impatto che i sapiens hanno avuto sul pianeta poco dopo la loro apparizione, 300.000 anni fa. In particolare l’avvento dell’agricoltura e la rivoluzione industriale hanno fornito due accelerazioni formidabili alla capacità di trasformazione del pianeta da parte della specie umana. È ormai opinione comune che viviamo nell’Antropocene, un’era in cui il cambiamento operato dall’uomo potrà, in futuro, essere rilevato nelle rocce come tutte le altre ere geologiche.

All’inizio degli anni ’90 cominciavano ad accumularsi prove su prove della stretta correlazione tra attività umane (come il rilascio di gas serra dovuto all’utilizzo di combustibili fossili) e aumento delle temperature medie di atmosfera e oceani. Davanti a queste evidenze scientifiche compresi che la mia prima ipotesi era sbagliata.

Ho assistito da un lato a crescenti fenomeni che ci fanno sperimentare sulla nostra pelle i sintomi del cambiamento in atto, come le ondate di calore persistenti e i temporali sempre più intensi. Dall’altro ho notato una lenta ma costante presa di coscienza, a livello politico, del problema e della necessità di agire. Le scelte economiche a livello internazionale – tra tentennamenti, accelerate, marce indietro — hanno portato a scelte nella giusta direzione: solo per fare uno degli esempi più conosciuti, la crescita di investimenti nelle energie rinnovabili.

Le domande iniziali di questo post sono un tentativo di chiarire un paio di punti che mi paiono importanti.

Primo punto: il pianeta non sarà particolarmente “scosso” dai cambiamenti. Ne ha viste già tante. È la civiltà umana che sopporterà l’impatto maggiore.

Quel che succederà colpirà in primo luogo i paesi più poveri perché più strettamente legati al loro ambiente naturale ma anche i paesi ricchi subiranno pesanti effetti. Il cambiamento climatico produrrà migrazioni sempre più massicce e frequenti non solo tra nazioni o continenti ma anche all’interno di ogni paese, tra le zone costiere soggette all’innalzamento dei mari e quelle interne o tra le regioni diventate aride e quelle ancora temperate. Ondate di calore, fenomeni atmosferici estremi, carenza di acqua, trasformazioni di interi habitat metteranno in crisi le grandi metropoli così come le piccole città e le zone rurali. In generale, le strutture sociali, economiche e politiche subiranno cambiamenti importanti che accompagneranno quelli climatici.

La società umana, nel suo complesso e nella sua “complessità”, non sarà più come quella dell’inizio del XXI secolo.

Ma per la Terra e la sua biosfera questi cambiamenti non saranno che un episodio, di certo non tra i più eclatanti, di cui sono stati testimoni e vittime. Il pianeta ha vissuto catastrofi inimmaginabili: dagli episodi di “Terra a palla di neve” alla caduta di meteoriti e comete, da eruzioni vulcaniche estese a un territorio grande quanto la Siberia durate millenni al rilascio di enormi quantità del potente gas serra metano negli oceani e nell’atmosfera. Tutti questi episodi — e altri ancora di minore entità – hanno causato estinzioni di massa con la perdita anche del 90% delle specie esistenti. Ma la vita ha sempre ripreso il suo cammino, di solito con più vigore e con una diversificazione maggiore.

Ciò che è stato fatale per alcuni organismi, è stata una benedizione per altri.

La differenza, nel caso del cambiamento climatico attuale e delle estinzioni che già stanno avvenendo, è la causa: biologica, con un’unica specie ha messo in moto un rapido processo di modifica dell’equilibrio della biosfera, aumentando la concentrazione di anidride carbonica e di altri gas serra e producendo un riscaldamento globale che procede anch’esso in maniera rapida.

Questa anomalia è accompagnata da un’altra peculiarità: la specie che ha avviato il cambiamento ne potrebbe essere la principale vittima.

L’umanità è particolarmente resiliente (ha superato un’era glaciale…) e non rischia l’estinzione ma come unica specie intelligente del pianeta potrebbe subire una grave battuta d’arresto alla sua evoluzione culturale e tecnologica.

Appurato che quel che sta succedendo è causato dall’uomo possiamo però cercare di essere indulgenti con lui. E veniamo al secondo punto: avidità e stupidità sono le sole cause del cambiamento climatico? L’attuale generazione e quelle immediatamente precedenti sono da condannare senza appello dal tribunale del futuro?

Forse le cose non stanno esattamente così.

Per millenni non ci siamo resi conto del potere di cui disponevamo e del fatto che avrebbe potuto ritorcersi contro di noi. A dirla tutta, per migliaia di anni la stragrande maggioranza della popolazione umana ha vissuto cercando di sopravvivere un altro giorno, schivando predatori, malattie, guerre, carestie e altre calamità. Non avevano proprio la sensazione di essere dèi (tranne qualche manciata di re e nobili, comunque anch’essi in realtà fragili e impotenti), anzi, probabilmente pensavano di essere l’ultima ruota del carro, in balia della natura o di altri esseri superiori.

Dopo il Medioevo (in Occidente, più tardi altrove) lentamente la qualità della vita ha preso a migliorare per una fetta sempre maggiore della popolazione.

Negli ultimi due secoli la capacità dell’uomo di manipolare l’ambiente per ricavare sempre più beni, materiali e immateriali, ha subito un’accelerazione di tipo esponenziale. Abbiamo cominciato davvero a sentirci dèi – almeno quelli di noi che nascevano nel posto giuso al momento giusto – con una fede illimitata nel progresso e con l’idea di avere risorse inesauribili.

Ma questo entusiasmo era ingenuo e derivava dalla scarsa conoscenza e comprensione di molti meccanismi che agiscono in un sistema chiuso e strettamente interconnesso come la Terra. In pratica, non si avevano né dati né teorie che potessero guidare uno “sviluppo sostenibile”.

Un impulso ancor più primordiale ci ha inoltre guidati. Telmo Pievani scrive su “Le Scienze” (settembre 2019):

siamo attratti da bisogni immediati e limitati, e dunque poco lungimiranti, a causa di un bagaglio evoluzionistico che ci portiamo dietro anche se è controproducente.[…] la crisi del pianeta si scontra con bias innati […].

Dopo la seconda metà del ‘900 la nostra conoscenza migliorò, grazie al lavoro degli scienziati. Entrarono in gioco altri fattori, stavolta meno legati all’ingenuità e più all’avidità: per esempio la tendenza del sistema capitalistico a contrastare con forza ogni fattore che potesse frenare la corsa al guadagno nel breve periodo.

Un esempio classico può essere quello del fumo: per molto tempo non si ebbe cognizione della sua pericolosità. Quando medici e scienziati fornirono le prove del legame tra sigarette e cancro, le lobby del tabacco per decenni tennero nascosto o minimizzarono il problema.

Consideriamo anche l’atteggiamento più che comprensibile di paesi emergenti come la Cina che all’inizio del suo “boom”, verso la fine degli anni ’80, non voleva avere vincoli per raggiungere rapidamente un livello di sviluppo di tipo occidentale.

Processo di “apprendimento” della società sul corretto utilizzo di invenzioni e scoperte.
Processo di “apprendimento” della società sul corretto utilizzo di invenzioni e scoperte.

Quello che vorrei fosse chiaro è che, comunque, non esistono colpe assolute e “generazionali” che hanno prodotto il cambiamento climatico. Sono d’accordo con quanto sostiene la sociologa Jennie Bristow, di cui ho letto su “La Lettura” del Corriere della Sera una recensione al suo libro “Stop Mugging Grandma The ‘Generation Wars’ and Why Boomer Blaming Won’t Solve Anything”: l’idea che tutte le colpe siano delle generazioni precedenti è fuorviante. Innanzitutto le generazioni non sono blocchi unici ma conglomerati di individui, gruppi, stati in perenne ricerca di equilibrio, con idee, aspirazioni e obbiettivi assai diversi. In secondo luogo vi sono fenomeni, come la globalizzazione, che hanno contribuito ad accelerare il cambiamento climatico ma che erano sostanzialmente inevitabili, come la nascita dell’agricoltura. E, come accennato in precedenza, esiste un naturale desiderio, per gli esseri umani, di vivere al meglio possibile senza per questo essere tutti ingordi predatori del futuro altrui.

Malgrado questo, siamo riusciti, con fatica e con molte contraddizioni, a renderci conto di quanto il nostro comportamento potesse risultare dannoso nel lungo periodo soprattutto per noi stessi. Abbiamo cominciato a intraprendere altri percorsi e a studiare e mettere in pratica soluzioni globali efficaci, come dimostra l’esempio del buco dell’ozono.

Le trasformazioni, i dibattiti, i progressi tecnologici dei decenni scorsi hanno fornito strumenti intellettuali e pratici per mettere in atto le misure per migliorare il mondo e correggere gli errori.

I giovani che si mobilitano per il loro futuro -ispirati da un’icona trascinante (ma intransigente) come Greta Thunberg – sono un ottimo punto di partenza, soprattutto se si sceglie di avere la Scienza (e la Storia, aggiungerei) come guida.

E’ importante però capire che:

  1. non si parte da zero, come abbiamo visto;
  2. trasformare la protesta in azioni concrete, efficaci e concordate è la parte difficile.

Come scrive Massimo Famularo:

oltre a coordinare un numero molto elevato di persone e stabilire programmi che sviluppino in archi temporali non brevi, è necessario conciliare esigenze differenti e spesso in contrasto.

Questo non è impossibile, come testimonia l’esempio del protocollo di Montreal.

La via maestra per contrastare e attenuare gli effetti dei cambiamenti climatici è far convergere strategie “dall’alto” con modifiche degli stili di vita che nascano e si diffondano dal basso (come sta accadendo per la plastica), compatibilmente con le situazioni culturali e socio-economiche dei vari paesi.

Buona fortuna, umani.

Originariamente pubblicato su Medium.