Metaverso

Come sarà il metaverso? Ecco l’opinione di 600 esperti (Pew Research Center)

Nel 2040 il metaverso sarà integrato nel nostro quotidiano? O sarà un orizzonte ancora lontano e indefinito? Ci immergeremo nel non luogo definitivo per lavoro, divertimento, per socializzare, amare, curarci, fare shopping? Oppure i mondi virtuali rimarranno nicchie esotiche frequentate da gamers, esploratori, addetti a particolari lavori e professioni?

Il Pew Research Center e l’Elon University hanno realizzato una ricerca specifica, inviando un questionario a più di 600 esperti del digitale (ricercatori, studiosi, imprenditori) provenienti soprattutto dagli Stati Uniti e da altri paesi, in gran parte occidentali: le duecento pagine del rapporto integrale, con i commenti estesi dei partecipanti, sono un’ottima fonte di informazioni e di riflessioni sul tema.

La domanda chiave è stata: “Entro il 2040 il metaverso sarà o non sarà un aspetto della vita quotidiana molto più raffinato (ndr rispetto a oggi), realmente coinvolgente e ben funzionante per mezzo miliardo o più di persone in tutto il mondo?”. Le risposte si sono quasi equamente divise tra le due possibilità, con una leggera preponderanza (54%) per la risposta affermativa.

Una prima considerazione nasce dal mezzo miliardo di persone che dovrebbero essere “immerse” nel metaverso: nel 2040 si prevede ci saranno più di nove miliardi di persone sul pianeta, quindi si parla solo del 5,5% della popolazione. Per fare un paragone non preciso ma indicativo, attualmente i possessori di smartphone sono più di sei miliardi e mezzo (su quasi otto miliardi di abitanti).

La seconda deriva dalla data scelta come riferimento: il 2040 sembra lontano, ma è solo 18 anni nel futuro. Nel 2004 c’era il web 2.0, l’uso di Internet una pratica comune, la telefonia mobile era in piena espansione e stavano per arrivare social media e smartphone. Un’epoca che, per chi c’era, non appare così diversa e remota.

Andando ora oltre la risposta “secca” alla domanda e leggendo gli approfondimenti raccolti dal Pew Research Center possiamo abbozzare uno scenario plausibile (ma altri potrebbero sintetizzare e interpretare le opinioni degli esperti in modo differente):

  • la vita nel 2040 sarà centrata attorno ai dispositivi che consentiranno esperienze di realtà aumentata e/o mista (AR/MR) con l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale (AI)
  • il metaverso inteso come una realtà virtuale immersiva e totalizzante (VR) sarà appannaggio di nicchie particolari (anche numericamente rilevanti), che amplificano ed espandono quelle che già oggi popolano il proto-metaverso: gamers, utenti/spettatori di contenuti audiovisivi e artistici avanzati, lavoratori di settori quali la progettazione industriale, l’architettura, la medicina, l’educazione

Diversi sono i motivi che fanno preferire questa visione a quella di un metaverso totalizzante. Anche se la legge di Moore applicata a potenza di calcolo, memoria, velocità di trasmissione dati continuasse al ritmo attuale, alcuni limiti come quelli relativi a latenza e banda potrebbero continuare a costituire un problema per un mondo virtuale con milioni di presenze simultanee dislocate in tutto il pianeta.

Se il sogno di un metaverso aperto, distribuito, decentralizzato, trasparente rimane vivo, è comunque alta la probabilità che il metaverso venga costruito da grandi conglomerati privati o da stati autocratici. Non è un caso se Meta (alias Facebook) stia tentando di impadronirsi del concetto stesso di metaverso, un “concetto in cerca di un mercato” secondo Andre Brock, professore alla Georgia Tech University.

I problemi legati ai dati personali e alla privacy diventerebbero sempre più difficili da dipanare. Le corporazioni approfitterebbero della mancanza di standard aperti per costruire immensi silos di dati personali ancor più intimi. Questi dati sgorgherebbero dalle interazioni che le nostre proiezioni virtuali avrebbero nel e con il metaverso, presumibilmente popolato di agenti virtuali dotati di AI, indistinguibili da avatar di umani e “al soldo” delle aziende private, dei brand o dei governi autocratici.

Steve Hanna, un esperto di IoT, nota che “il metaverso sarà progettato per creare dipendenza e rendere le persone più suscettibili alla manipolazione e meno consapevoli della realtà.”

Vivere la propria vita come un avatar genererebbe conseguenze positive e negative. La meta-vita potrà sganciarsi quasi del tutto dai vincoli di genere, età, razza, censo, specie (avremo la possibilità di vivere la vita di un polpo) e di unicità, perché potremo essere molteplici esseri. Per contro, potrebbero aumentare la frammentazione dell’attenzione, il rischio di isolamento, di solitudine, di allontanamento dalla realtà soprattutto per le persone più fragili e meno dotate di strumenti culturali, sociali, economici in grado di controbilanciare il potere di fascinazione di un’altra realtà, apparentemente più desiderabile.

E se il metaverso diventasse la nuova, definitiva droga dei poveri, per cui si spenderanno soldi in modalità play-to-earn che andranno ad arricchire la solita, piccolissima, parte dell’umanità che continuerà a fruire della bellezza del mondo reale?

Questa prospettiva distopica sembra perseguitare il metaverso fin dal suo esordio letterario nell’ormai ultra citato “Snow Crash” di Neal Stephenson. Senza giungere a visioni così pessimiste, diversi esperti pensano che, semplicemente, non ci sarebbero casi d’uso sufficienti e significativi per rendere nel 2040 il metaverso appetibile un’audience di massa.

Del resto, però, Sam Lehman-Wilzig, docente alla Bar-Ilan University in Israele, nota che, da quando siamo diventati “sapiens”, tendiamo alla virtualizzazione attraverso il nostro pensiero astratto: per sopravvivenza, efficienza, diletto, curiosità, teoria della mente, religione.

Il metaverso potrebbe inizialmente essere “un posto da frequentare, non da vivere, come il cinema e il teatro” evidenzia Alf Rehn dell’Università della Danimarca del Sud. Immagino nelle città sale attrezzate con le tecnologie più avanzate della realtà virtuale consentire esperienze condivise (ludiche, culturali, spirituali, educative) con gli altri presenti e con gli utenti di altri spazi simili posti ai quattro angoli del mondo. Aule universitarie, laboratori, uffici sono altri luoghi dove le porte del metaverso si aprirebbero per attivare nuove modalità di apprendimento, ricerca e lavoro. Non escludo che sia (anche) questa la strada per renderlo un meta-medium di massa.

Torniamo alla risposta che vede la realtà aumentata e mista protagonista del quotidiano. Una delle motivazioni di questa previsione è dovuta soprattutto alla quantità di dati sempre crescente che sarà legata a persone, oggetti, luoghi, attività.

Mike Liebhold, docente emerito dell’Institute for the Future afferma infatti: “Il mondo reale sarà completamente coperto da dati intelligenti, media e informazioni interattive, esperienze e intrattenimento. Ogni nodo nei flussi di lavoro delle attività umane sarà amplificato dall’onnipresente intelligenza artificiale incorporata, in grado di fornire supporto conversazionale per l’orchestrazione e la coreografia di sistemi troppo complessi per una cognizione umana organica limitata senza l’assistenza delle intelligenze meccaniche. […] Nella vita di tutti i giorni, l’AR sarà più utile della realtà virtuale perché ci offrirà un modo semplice per trovare le informazioni giuste al momento giusto.

Vi sarà l’evoluzione di dispositivi come occhiali e orologi intelligenti, sensori da applicare sul corpo (come quelli già disponibili per il monitoraggio della glicemia), altri “smart wearable devices” che, insieme con nuovi strumenti, ci consentiranno sempre più di utilizzare al meglio i dati che ci avvolgeranno.

Forse è questa necessità di viaggiare in un mondo saturo di informazioni che ci porterà — quasi senza accorgercene — a scivolare se non in un metaverso, almeno in un iperverso (termine coniato dal futurologo Stowe Boyd).

Originariamente pubblicato sull’Osservatorio Metaverso